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Militari italiani campi di sterminio
Alpini,  Ricordi e Pensieri,  Storia

La testimonianza per la Giornata della Memoria

Oggi, 27 Gennaio, ricorre la Giornata della Memoria. Giorno dedicato alle vittime della Shoah che sono state deportate nei campi di concentramento nazista e uccise dopo innumerevoli torture. Furono milioni gli Ebrei che vennero annientati dalla furia omicida nazista, ma per fortuna alcuni di loro si sono salvati ed hanno scelto di raccontare quello che avevano vissuto per non dimenticare e per insegnare alle generazioni future cosa sia il Vero Male e far in modo che non si ripeta mai più.

Personaggi illustri ancor presenti oggi sono Liliana Segre, Sami Modiano, Giuseppe Coalova e pochi altri continuano a mandare un messaggio di pace ed a mantenere vivo il ricordo. Nel nostro piccolo, ormai 10 anni fa abbiamo intervistato Silvio Barale, un nostro Alpino di San Germano Chisone che venne internato in un campo di sterminio, ma riuscì a salvarsi e tornare nelle sue valli. Nel 2010 intervistammo Silvio, oggi purtroppo è andato avanti, ma vogliamo che la sua testimonianza, che vi regaliamo oggi, si unisca al coro di quelle presenti, per far si che non si ripeta mai più quello che è accaduto.

Barale Silvio, Classe: 1919, fu un militare dell’esercito italiano inquadrato nel 3° Reggimento Alpini  Battaglione Fenestrelle  27^ Compagnia. La mia mansione era  Portaferiti, dopo un inizio del conflitto sul fronte occidentale ovvero contro la Francia, con la dislocazione dei nostri  battaglioni  in pratica dal M.Viso al Moncenisio. 

   Nel 1940 avviene l’Armistizio con la Francia, allora il mio battaglione viene trasferito sul fronte Greco –Albanese, dapprima un lungo viaggio in treno fino a Bari, quindi il Traghetto per Durazzo, qui con alterne vicende di guerra il tempo trascorre con la conquista dell’Albania e parte della Jugoslavia, finchè si giunge al fatidico 8 Settembre 1943, data dell’armistizio. Pertanto i Tedeschi che prima erano alleati ora diventano nemici.  Dunque momentaneamente continuiamo a combattere contro gli Slavi ed contro  i Tedeschi, i quali avevano anche l’aviazione con i terribili Stukas (Aerei da combattimento molto buoni). Ad un certo punto non mi ricordo bene il giorno una parte del Battaglioni dislocati in zona vicino al mare, riescono a requisire una nave, ricordo che eravamo nella zona delle Bocche di Cattaro, mentre un’altra arriva dall’Italia ed una parte dei miei commilitoni pur sotto un bombardamento tedesco riescono ad imbarcarsi  arrampicandosi come possono sulle corde appese alla nave, ma aimè non c’e spazio per tutti, e siccome i bombardamenti continuano una parte degli Alpini si riparano sulla costa sotto gli alberi, sperando che eventualmente nei  giorni successivi  qualcuno si ricordi che noi eravamo rimasti li. Così non è, allora inizia un po’ di malinconia e indecisione sul cosa fare, girovagando per le campagne si cerca di rubare qualcosa per mangiare visto che non c’è più la fornitura dall’Italia, qualcuno fa anche amicizia con gente del luogo e combatte con  i Patigiani di Tito, un ragazzo che rivedrò poi a fine della guerra dopo alcuni anni a Villar Perosa, addirittura  trova la fidanzata chè si porterà il Italia e sposerà felicemente. Se ricordo bene questo va avanti per circa un mese finchè stremati i Tedeschi ci fanno prigionieri, se ricordo bene vicino a Gorasme, dapprima una lunga camminata (ma eravamo abituati), poi sempre scortati ci caricano su un treno. Attenzione carro bestiame e carri merci coperti, mica le carrozze, ed iniziamo un viaggio possiamo dure disumano perché circa 50 su un vagone con un po’ di paglia per  sdraiarsi, ma senza cibo né acqua, e se fai i bisogni un angolo del vagone dove troviamo un buco per buttarli di sotto.  Questo viaggio dura 2 o 3 giorni non ricordo bene. Arriviamo in Germania.  Arriviamo in campo di smistamento dove veniamo disinfettati in massa vestiti con una divisa a righe e quindi immatricolati, perché da quel giorno io sono il N°  12416 ed un mio caro amico di Pramollo paese qui sopra San Germano N° 12417. In mezzo a tutti i prigionieri riconosco anche altre facce conosciute di alpini che erano con me, ma non possiamo avvicinarci. Qui inquadrati in quella che possiamo chiamare la piazza centrale del campo ci viene posta una prima domanda. Se vogliamo aderire alla Repubblica di Salò oppure no?  La maggior parte dice di no perché non crediamo più in Mussolini. Mentre chi dice di si viene rivestito e messo a disposizioni dei militari tedeschi. Poi passa un ufficiale delle SS e penso faccia una scelta sul fisico, anche se abbastanza grossolana, poi capisco il perché veniamo inviati in un Campo, io ed il mio amico Long (scusate N° 12417), insieme naturalmente a molti altri, che si trova vicino ad una miniera di Carbone di Bochum, qui veniamo divisi a coppie e ci viene assegnato ad ogni coppia da scavare 9 metri di lunghezza della parete ogni turno di lavoro, sempre sotto sorveglianza di soldati tedeschi e non si finiva il turno fino a che non si finivano i 9 metri. Il lavoro era di piccone e badile perché poi il carbone veniva trasferito ai vagoni per l’uscita dalla miniera da una specie di nastro trasportatore, inoltre dovevamo anche puntellare di tanto in tanto il nostro scavo perché non crollasse. I primi tempi il lavoro era si pesante ma non sembrava poi così massacrante anche se eravamo  a circa 1000 metri sotto terra, perché eravamo ancora abbastanza freschi, con il passare dei giorni invece il lavoro assegnato era sempre lo stesso, invece noi con lo scarso cibo che avevamo ( al mattino una brodaglia  non ben definita che veniva chiamato tè ed alla una minestra di rape quelle gialle che di solito danno agli animali ed un pezzo di pane ) ed il poco riposo perché il percorso tra il campo e la miniera era fatto a piedi inquadrati in fila per tre sempre controllati dalle guardie e durava 1 ora abbondante tra andata e ritorno . Infatti un giorno uno stanco di questo tenta di scostarsi dalla fila ma viene subito colpito con il calcio del fucile, poi ucciso e lo vediamo per diversi giorni appeso alla recinzione della miniera a monito di non cercare di fare i furbi se no si fa la stessa fine.  Così con il passare del tempo eravamo sempre più affaticati e le ore di miniera aumentavano dalle circa 7 dei primi giorni alle 11- 12 dopo alcuni mesi, comunque in queste condizioni passammo l’inverno del 1943.  Giunti in primavera un mattino radunati sulla piazza del campo un ufficiale tedesco con qualche parola italiana e altre nelle altre lingue dei prigionieri ma poche e molte tedesche, ma oramai  qualcosa capiamo ci chiede chi vuole andare a scavare trincee verso il fronte francese. Io stufo dell’aria divenuta irrespirabile della miniera faccio questa scelta mentre il mio amico Long continua con altri la miniera. Questa penso sia la mia fortuna di essere qui oggi e poterlo raccontare perché  l’amico Long  morirà in Germania  ed al mio ritorno in patria con l’aiuto di amici e del Pastore Valdese mi faccio promotore del trasporto della sua salma in Italia perché a suo tempo c’era stato un patto tr di noi “in questa terra n’è da vivi n’è da morti”. Veniamo caricati su un treno e arriviamo nei pressi di Idrop  penso si scriva così, qui lavoriamo in pratica nelle retrovie del fronte per scavare e tanto scavare per fare trincee da usare per la ritirata che si profila giorno per giorno, qui però si vive diversamente siamo all’aria aperta si mangia di più perché ogni tanto i tedeschi fanno razzia di quello che trovano nelle cascine e cui partecipiamo anche noi, per esempio mi ricordo che una volta abbiamo ammazzato un vitello, e per alcuni giorni abbiamo sfamato  prigionieri e soldati perché anche loro non è che avessero chissà che cosa da mangiare. Passano i mesi anche qui e si arriva  di nuovo all’inverno ed iniziano le prime fughe, perché anche da parte dei militari tedeschi iniziano a venir meno i controlli, alcuni dei nostri riescono anche ad avvicinarsi di nuovo alla miniera e vengono a sapere che è tutto crollato. Anche perché vengo poi a sapere dal racconto di altri superstiti a quel luogo e poi ritrovati al mio ritorno a San Germano che un giorno i tedeschi per non far cadere la miniera in mano al nemico avevano messo i locomotori dei trenini del carbone di fronte alle porte, così quando hanno bombardato e scoppiato tutto in aria e parte della miniera è crollata.  Dal fronte mi sembra nel mese di Febbraio – Marzo del ’45 tentiamo la fuga, ed un giorno eravamo nascosti nella cantina di una scuola, perché se le SS ci prendevano ci avrebbero ucciso, fummo liberati da  Americani  i primi che incontrammo in strada furono prigionieri tedeschi, a cui per ripicca prelevai il cinturone completo di tutti gli accessori, gavetta , le posate pieghevoli e siccome penso fosse un graduato anche il binocolo, souvenir che custodisco ancora oggi gelosamente. Nei giorni successivi troviamo un’ospitalità in una cascina di sole signore perché i loro compagni sono tutti in guerra e qui in cambio di alcuni lavori pesanti in campagna mangiamo quasi normalmente, così iniziamo ha riprendere un po’ di forze, ed iniziamo a pensare come potremmo ritornare in Italia. L’illusione dura poco perché arrivano gli Inglesi per cui veniamo catturati nuovamente ed al momento fatti ancora prigionieri, ma per fortuna qui sì sono molto rigidi sulla disciplina, però almeno il mangiare e superiore alla prigionia tedesca. Arriviamo così alla fine della guerra e sono gli stessi Inglesi a caricarci su un treno con direzione Italia e dopo diverse fermate non si capisce neanche bene perché arriviamo al Brennero dove incontriamo dei treni di prigionieri tedeschi che ritornano in Germania che ci urlano dietro e ci tirano pietre. Così dopo questo ancora lungo viaggio sempre su carri bestiame stipati in 50 – 60 per vagone, poi  alleggeriti dopo la frontiera italiana perché qualcuno iniziava a prendere una direzione diversa per  avvicinarsi a casa, riesco a rientrare a San Germano alla fine dell’estate del 1945.

Intervista di Alessio Richiardi a Silvio Barale
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